Nata con la spina bifida, Carla ha sempre lottato per vivere la sua vita al massimo, senza pregiudizi. Con accanto la sua prima sostenitrice, la figlia Ilaria.

Una farfalla colorata che vola libera nel cielo. Ilaria andava alla scuola materna, quando le maestre le hanno chiesto di disegnare la sua mamma come se fosse un animale. Lei non ci ha pensato su due volte: Carla, la sua mamma, era una splendida farfalla.
Eppure, quel disegno lasciò molto perplesse le maestre. Fu uno dei tanti, numerosi, episodi in cui Carla dovette confrontarsi con una società che vede le persone con disabilità solo come la loro malattia.
«Ricordo ancora che la maestra si meravigliò molto - racconta Carla - a tal punto da mandare a chiamare me e mio marito. Per lei non era possibile che io, che sono sulla carrozzina, potessi essere raffigurata come una farfalla che vola leggiadra. Eppure, mia figlia con gli occhi ingenui e trasparenti dei bambini era riuscita a catturare esattamente la mia anima, il mio spirito libero».
Carla ha 56 anni ed è nata con la spina bifida, una grave malformazione congenita che comporta, tra i vari sintomi, la paralisi degli arti inferiori. Da sempre, grazie al supporto dei suoi genitori, ha lottato per avere una vita come tutti gli altri, fatta di desideri, bisogni e diritti. Una vita basata sempre sulla libertà, anche quando questa è difficile da raggiungere, come quando a 30 anni le è stata diagnosticata una malattia genetica rara: la sindrome di Arnold Chiari, una patologia causata da un’anomalia strutturale del cranio e spesso presente in chi ha la spina bifida.
«Era un periodo in cui avevo dei forti giramenti di testa - racconta Carla -. Con una risonanza magnetica arrivò la diagnosi e mi dissero che se non mi operavo sarei morta. Mentre la spina bifida ha sempre fatto parte di me e ho imparato a conviverci, questa nuova malattia è stata un duro colpo, soprattutto perché avevo una figlia piccola a cui pensare. Per fortuna, tramite internet, sono entrata in contatto con i medici del Policlinico Gemelli di Roma e con l’Associazione Spina Bifida e ho scoperto che la mia situazione non era così grave da dovermi operare».
Carla è stata una bambina e oggi è una donna adulta determinata e in più di un’occasione si è dovuta imporre per essere vista oltre la sua malattia, semplicemente come una donna, battendosi per il diritto all’affettività e alla genitorialità. Lei che fin da bambina giocava con le bambole, immaginando un giorno di innamorarsi e di avere una propria famiglia. Un desiderio comune a tante bambine, ma che a lei, secondo i canoni della società di allora, doveva essere negato a causa della disabilità.
«Molte persone credevano che non sarei dovuta diventare madre e hanno smesso di parlarmi quando sono rimasta incinta - continua Carla -. L’ignoranza, la non conoscenza della disabilità, li portava ad avere paura. Mi vedevano come inadeguata e io ne soffrivo. I mesi della gravidanza, nonostante questo, sono stati i più belli della mia vita. Vedere quelle persone che non credevano in me mi ha spinta a cercare aiuto. Non ero una sprovveduta, sapevo che se serve aiuto ad una giovane madre normodotata, a me ne sarebbe servito il doppio».
Carla ricorda ancora che la prima volta che sono uscite con Ilaria neonata, avevano creato un trenino: l’assistente spingeva Carla, che a sua volta spingeva il passeggino con a bordo Ilaria. Anche in quel caso non mancarono i giudizi negativi della gente. Come non mancò la visita degli assistenti sociali, quando con Ilaria piccola, Carla e il marito decisero di separarsi. Come poteva lei sulla carrozzina occuparsi da sola di una bambina?
Carla però, anche in quel caso, non molla. Come dice Ilaria, è una farfalla e cerca sempre di non farsi tarpare le ali, di volare libera nella sua vita. Così costruisce intorno a sé una rete di supporto e dimostra ancora una volta che la sua disabilità non è un limite, ma solo una condizione del corpo.
«La società vede noi disabili come persone sofferenti, ma non siamo solo quello. Possiamo provare dolore, certo, ma proprio perché spesso nella vita mi sono sentita sola e non compresa, anche oggi tendo a non condividere la mia sofferenza. Fin da bambina mi sono sentita dire da tutti che non potevo fare questo, non potevo fare quello. Per fortuna ho anche incontrato persone, poche, che hanno creduto in me e mi hanno supportata».
Il suo vissuto personale, l’aver sofferto sulla propria pelle lo stigma della disabilità, come quando a scuola per fare le foto coprivano sempre la sua carrozzina, hanno spinto Carla a far valere i suoi diritti, ma anche quelli degli altri.
Oggi è una volontaria per l’Associazione Disabilmente Mamme, dove supporta giovani donne con disabilità. È anche Vice Presidente della Nuova Associazione Mielolesi Ostia, in cui è al fianco di persone con mielolesione. Per anni ha inoltre organizzato dei soggiorni per i giovani con spina bifida, insieme a personale qualificato, proprio per aiutare i ragazzi e le ragazze a superare quelle esperienze negative, che lei stessa aveva provato nella sua vita.
«Aiutare gli altri mi fa stare bene. Oggi si parla molto di inclusione, ma la società non è ancora pronta. Ci sono ancora molti passi avanti da fare, basta pensare alle barriere architettoniche o ai servizi di assistenza sanitaria diversi in ogni regione».
Quella farfalla che Ilaria disegnò alla materna, oggi Carla la porta tatuata sul suo corpo. A suggellare un legame, il loro, basato sulla libertà.
«Non ho mai voluto che mia figlia dipendesse da me, né io da lei. Non voglio che soffra per la mia disabilità e per questo sono felice che la mia condizione non l’abbia fermata nel vivere le sue esperienze, anche lontano da casa. Ilaria è la mia caregiver di riferimento, anche se non vive in Italia, c’è sempre stata per me, anche a distanza. È uno spirito libero come me».