I due fratelli amano stare insieme, giocare e sostenersi sempre. Entrambi sono nati con la leucodistrofia metacromatica una malattia che oggi, grazie allo screening neonatale, si potrebbe diagnosticare precocemente.

Ci sono storie dolorose che si decide di raccontare per generosità, perché la propria esperienza faccia da monito e insegnamento e il futuro degli altri cambi in meglio. È il caso di una famiglia di Abbadia Lariana, quella di Monica e Marco e dei loro due figli Giulio e Clara, nati entrambi con lo stesso difetto genetico che porta a sviluppare una gravissima malattia neurodegenerativa, la leucodistrofia metacromatica (MLD).
Oggi grazie a Fondazione Telethon e ai ricercatori dell’Istituto San Raffaele Telethon (SR-Tiget) di Milano esiste una terapia genica in grado di cambiare le prospettive dei bambini che nascono con questa malattia: approvata nel 2020 in Europa e nel 2024 negli Stati Uniti, è commercializzata dall’azienda Orchard Therapeutics e in Italia è rimborsata dal Servizio Sanitario Nazionale.
Uno splendido traguardo della ricerca, che però ha un risvolto amaro: la terapia è efficace solo quando somministrata precocemente, prima che la malattia abbia provocato troppi, irreversibili danni. Per Monica e Marco «è stato devastante sapere che esiste una cura e che i nostri figli non possono beneficiarne solo perché la diagnosi è arrivata troppo tardi. È qualcosa che non dovrebbe succedere, non oggi, non quando uno screening potrebbe evitare tutto questo».
Uno strumento fondamentale per individuare tempestivamente alcune malattie genetiche rare è lo screening neonatale: un’indagine a tappeto eseguita entro il terzo giorno di vita su tutti i neonati. La leucodistrofia metacromatica non è ancora tra queste, ma sono in corso diversi studi nel mondo, due dei quali in Italia. Tra questi, uno studio pilota condotto in Lombardia grazie alla collaborazione tra Fondazione Telethon e l’Ospedale Buzzi di Milano punta a valutarne la fattibilità ed efficacia.
Una doppia risposta
I primi sintomi della leucodistrofia metacromatica possono essere difficoltà motorie o del linguaggio, segnali spesso poco specifici che rischiano di essere sottovalutati. Nel caso di Giulio, che oggi ha 11 anni, il primo campanello d’allarme sono state alcune difficoltà di apprendimento in prima elementare. Come ricordano i genitori, «all’inizio non ci siamo preoccupati, ci siamo detti “è solo una fase della crescita e poi siamo appena usciti tutti dal Covid”. Poi però i problemi scolastici di Giulio sono diventati sempre più evidenti e sono subentrate anche delle difficoltà motorie: abbiamo quindi iniziato ad allarmarci».
Dopo numerosi controlli, i medici sospettano di essere di fronte a una malattia degenerativa e a breve arriva la diagnosi di leucodistrofia metacromatica. Trattandosi di una malattia genetica, decidono di sottoporre al test anche Clara, la sorella di un anno più piccola. L’esito, purtroppo, è positivo: questa seconda diagnosi piomba come un macigno sulla famiglia. «Nel caso di Giulio abbiamo avuto la conferma che le nostre preoccupazioni erano fondate» ricorda Monica «ma Clara fino ad allora aveva avuto solo delle piccole difficoltà scolastiche: mai avremmo pensato che fossero a loro volta le avvisaglie di una malattia così grave. È stato devastante».
Una diagnosi tardiva
Subito dopo la diagnosi, la famiglia è stata indirizzata all’Ospedale San Raffaele di Milano, il centro clinico di riferimento per questa malattia, dove è stata anche messa a punto grazie ai ricercatori dell’SR-Tiget la terapia genica. Purtroppo, per quanto i sintomi mostrati da Giulio e Clara non fossero ancora gravi e numerosi, erano comunque sufficienti per escludere la possibilità di intervenire in entrambi con questo trattamento.
«Per Clara è stato possibile tentare un trapianto di cellule staminali del sangue da donatore. È stata una strada lunga e faticosa, ma l’unica rimasta. Oggi segue un percorso di fisioterapia e monitoraggio continuo. Giulio, invece, è seguito con terapie di supporto per rallentare, per quanto possibile, la progressione» spiega la mamma. «Questa malattia è davvero subdola» sottolinea amaro il papà. «I primi segnali sono poco specifici, spesso vengono scambiati per altro anche dai medici più attenti ed esperti. È difficile da diagnosticare e così si perde tempo prezioso».
Nonostante le difficoltà, Giulio e Clara sono molto uniti e si sostengono a vicenda. Continuano a coltivare passioni e sogni: Giulio è tifoso del Milan, segue le partite e quando la squadra vince per lui è una festa che dura giorni; Clara, dal canto suo, ha con sé sempre il suo pupazzo Stitch, che la accompagna in ogni momento difficile, dalle terapie ai ricoveri.
I genitori cercano di mantenere una vita il più normale possibile: «Non vogliamo che crescano solo tra ospedali e terapie, per quanto l’equipe medica che ci segue sia molto attenta e accogliente: apprezziamo il loro sforzo di mantenere per quanto possibile un ambiente familiare. Al contempo cerchiamo di regalare a Giulio e Clara momenti di serenità e spensieratezza, come tutti i bambini meritano: in questo le nostre famiglie e i nostri amici sono alleati preziosi, siamo fortunati ad averli vicino».
L’appello
La dolorosa esperienza di questa famiglia sottolinea ancora una volta l’urgenza di disporre di un test di screening neonatale per la leucodistrofia metacromatica. «Per capirlo basta mettersi nei panni di genitori come noi, che sanno che esiste una cura in grado di cambiare davvero la storia di questa malattia, ma che il proprio figlio non ha potuto accedervi solo perché la diagnosi è arrivata tardi. È una cosa che non dovrebbe succedere, bisogna fare di tutto perché nessun altro si trovi nella nostra situazione. La diagnosi precoce deve diventare una priorità assoluta: non si può perdere tempo prezioso quando in gioco c’è la possibilità di salvare una vita o di fermare una malattia così devastante. È una questione di giustizia, oltre che di salute».